IL TRIBUNALE Sulla questione di legittimita' costituzionale sollevata dal p.m. in relazione all'art. 513, comma 1, c.p.p. cosi' come modificato dall'art. 1, legge 267/1997, per violazione degli artt. 2, 3, 101 e 112 della Costituzione nonche' degli artt. 1 e 6, commi 1 e 5, legge n. 267/1997 per violazione degli artt. 101 e 112 della Costituzione; Sentite le altre parti; Osserva In data 4 marzo 1997, l'imputato Palmiere Marco dichiarava di avvalersi della facolta' di non rispondere all'esame in dibattimento ed il p.m. chiedeva l'acquisizione e la lettura ai sensi dell'art. 513, c.p.p. dei verbali degli interrogatori resi dal predetto imputato al p.m. nella fase delle indagini preliminari anche nella parte riguardante le dichiarazioni indizianti valutabili a carico degli altri coimputati; La difesa tutta non ha prestato il consenso di cui all'art. 513, comma 1, c.p.p.; Il p.m., a tal punto, sollevava questione di legittimita' costituzionale nei termini di cui in epigrafe, sottolineandone la rilevanza nell'ambito del presente procedimento e la non manifesta infondatezza; Quanto alla rilevanza, il tribunale ne ritiene la sussistenza con riferimento esclusivo all'art. 513, comma 1, c.p.p., essendo questa l'unica norma applicabile in concreto nella presente fase dibattimentale ed evidenziando in proposito che la prospettazione accusatoria si fonda quasi esclusivamente sulle dichiarazioni rese dal coimputato Palmiere Marco, di modo che, la parziale inutilizzabilita' delle stesse, comporterebbe un radicale pregiudizio per la ricostruzione dei fatti oggetto di decisione, incidendo sulla res judicanda, dal momento che i residuali elementi di prova, fungono prevalentemente da riscontro alle dichiarazioni in questione; Con riferimento, poi, alla non manifesta infondatezza dei profili di incostituzionalita' dell'art. 513, comma 1, c.p.p, la norma in questione si appalesa in contrasto, in primo luogo, con l'art. 3 della Costituzione: ed infatti, l'attuale regime normativo - facendo divieto di utilizzazione, nei confronti dei coimputati non consenzienti, delle dichiarazioni rese, nel corso delle indagini preliminari, dal coimputato che in dibattimento, poi, si avvalga della facolta' di non rispondere - crea una evidente disparita' di trattamento in rapporto alla medesima situazione che pero' si presenti allorche', pur essendo, come nel caso di specie, in corso il procedimento di primo grado all'entrata in vigore della disciplina novellata, sia stata, pero', gia' disposta la lettura, nei confronti degli altri imputati e senza il loro consenso, dei verbali di dichiarazioni rese dalle persone indicate dall'art. 513, c.p.p., al p.m., alla polizia giudiziaria da questi delegata o al giudice nel corso delle indagini preliminari o dell'udienza preliminare; ed invero l'art. 6, legge n. 267/1997 consente, ove le parti lo richiedano, la citazione di coloro che tali dichiarazioni hanno reso, ma senza prevedere alcuna comminatoria di inutilizzabilita' allorquando tali soggetti si avvalgano della facolta' di non rispondere ovvero non si siano presentati, purche' l'attendibilita' delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari sia confermata da altri elementi di prova, non desunti da dichiarazioni rese al p.m., alla polizia giudiziaria da questi delegata o al giudice nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare, di cui sia stata data lettura ai sensi dell'art. 513, c.p.p., nel testo previgente. Disparita' che appare piu' evidente nelle ipotesi, come nel caso di specie, non ricadenti nella previsione del comma 2, dell'art. 6 della citata legge, in cui il p.m. non ha nemmeno la possibilita' di richiedere l'incidente probatorio, ai sensi dell'art. 6, comma 1, legge n. 267/1997, essendo il processo gia' nella fase dibattimentale al momento dell'entrata in vigore della nuova normativa; Altro profilo di contrasto con il citato art. 3 e 111 della Costituzione, per irragionevolezza della disposizione normativa in esame, puo' individuarsi nel divieto di utilizzazione della dichiarazione resa, nei confronti dei coimputati non consenzienti, dall'imputato che in dibattimento non sia comparso o si sia avvalso della facolta' di non rispondere, in quanto preclude al giudice di valutare, con cognizione di causa, gli elementi di prova esistenti a carico del chiamato in correita'; infatti, data la natura di prova complessa (dichiarazioni + riscontro) che la chiamata in correita' assume ex art. 192, comma 3, c.p.p., la sottrazione dell'elemento basilare costituito dalla dichiarazione accusatoria, rende probatoriamente insignificanti gli elementi "satellitari" di riscontro, resi "orfani" della prova dichiarativa alla quale accedono, e fatti oggetto di valutazione isolata dal contesto dichiarativo entro il quale, soltanto, assumono significazione; in tal modo viene preclusa al giudice ogni possibilita' di reale apprezzamento delle prove a carico, complessivamente esistenti agli atti del procedimento, valutabili appieno invece solo con riferimento alla posizione del chiamante in correita'; va, percio', evidenziato che la vigente normativa contrasta con il principio, individuato dalla Corte costituzionale, di non dispersione della prova - nel quale il pur rilevante principio di oralita' trova il suo limite - imponendo, appunto, di derogare al metodo dialettico quando la prova non possa, di fatto, prodursi oralmente, vale a dire quando non sia compiutamente e genuinamente acquisibile col metodo orale; Quanto alla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' dell'art. 513, comma 1, c.p.p., con riferimento agli artt. 101, 111 e 112 Costituzione, occorre evidenziare che la disposizione normativa che si assume in contrasto con i suddetti principi costituzionali rende le dichiarazioni confessorie rese non solo al p.m. ma anche al giudice delle indagini preliminari nella forma dell'interrogatorio ex artt. 64 e 65, c.p.p., pienamente utilizzabili in senso autoaccusatorio mentre per la parte eteroaccusatoria, la valenza processuale viene subordinata al consenso all'utilizzazione in dibattimento prestato dal chiamato in correita' ed, in quanto tale, portatore dell'interesse contrario all'utilizzazione della prova, creando una evidente sperequazione tra le parti processuali che va ad incidere pesantemente sulla conoscenza del giudicante, cui viene impedita una valutazione complessiva del materiale probatorio, fatto conoscere ad libitum ora nell'una ora nell'altra parte ed impedendo cosi', facendo dipendere la disponibilita' di una prova dalla volonta' del coimputato, il fine primario ed ineludibile del processo penale che non puo' che rimanere quello della ricerca della verita'.